Breve storia della nostra Chiesa

La nostra chiesa

Luglio 1969:
Istituzione della parrocchia con decreto di erezione di S.E. Mons. Norberto Perini, Arcivescovo di Fermo, con sede provvisoria nella Madonna delle Grazie.

Dicembre 1977:
Il Teatro appena costruito è adibito come luogo provvisorio di celebrazione e lo sarà per dieci anni.

Dicembre 1978:
Inaugurazione dei locali di ministero pastorale (sale nel corridoio e canonica).

Anni 1982-1983:
Costruzione del seminterrato della chiesa, sale di catechesi.

Maggio 1984:
Inaugurazione degli impianti sportivi e del Centro Ricreativo Don Bosco.

Maggio 1987:
Inaugurazione e solenne consacrazione della nuova Chiesa parrocchiale (Mons. Cleto Bellucci).

Novembre 2002:
Costruzione e apertura al pubblico della nuova Cappella feriale "Madonna delle Grazie" (da S.E. Mons. Gennaro Franceschetti) a completamento del complesso parrocchiale.

 

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ICONA DELL’ASCENSIONE NELLA CAPPELLA FERIALE

 

Icona dell'Ascensione

 

Nella cappella feriale della Chiesa parrocchiale di Gesù Redentore è stata realizzata nell’estate 2014 un’icona raffigurante il mistero dell’Ascensione: essa rappresenta il momento in cui, mentre Cristo ascende al cielo, due angeli annunciano agli apostoli, riuniti attorno alla Vergine Maria, che quel “Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (Atti 1,11b). L’opera è stata realizzata dal pittore spagnolo David Lopez Ribes, il quale tra le altre riconoscenze ha ricevuto il Premio delle “Accademie Pontificie 2012”.
L’icona riproduce per la prima volta l’originale realizzato nel 1992 dal pittore spagnolo Kiko Arguello, iniziatore del Cammino Neocatecumenale, nella Chiesa di Santa Francesca Cabrini a Roma.
Questa immagine sacra (di dimensioni mt 4,23x5,00) è stata compiuta seguendo il modello dell’iconografia orientale, una pittura che non vuole essere semplicemente decorativa e devozionale, ma che coniuga nella raffigurazione il carattere teologico con quello misterico-sacramentale. Il dipinto, infatti, vuole introdurci nel mistero di Dio attraverso la contemplazione di un evento fondamentale della storia della salvezza, in questo caso l’Ascensione, ovvero il momento del mistero pasquale in cui Gesù, il Figlio di Dio, incarnatosi nel seno della Vergine Maria, dopo essere stato crocifisso ed essere risorto, ascende al Padre. L’Ascensione dunque segnala che l’umanità nostra, in Gesù risorto, è introdotta nel seno stesso della santissima Trinità. L’essere umano è stato portato veramente fin dentro la vita stessa di Dio. E poiché Dio abbraccia e sostiene l’intero cosmo, l’Ascensione del Signore ci annuncia che Cristo non si è allontanato da noi, ma che adesso, grazie al Suo essere con il Padre, è vicino ad ognuno di noi, per sempre. “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20)
L’icona non solo ci rappresenta il mistero della nostra salvezza, ma ce lo trasmette anche in un senso sacramentale: è rivelazione, è parola di Dio dipinta, è il Kerygma che evangelizza colui che la contempla. Questa esperienza si realizza grazie alla tecnica, tipica dell’iconografia orientale, della “prospettiva rovesciata”, la quale fa sì che l’osservatore non rimanga con uno sguardo statico, quasi estraneo a quello che viene rappresentato. Mentre, infatti, nella pittura occidentale il punto di fuga prospettico, ossia il punto verso cui convergono le linee della raffigurazione, si trova all’interno del dipinto, nell’icona esso è fuori del dipinto e coincide con colui che sta guardando l’immagine. Si rovescia la prospettiva: non è l’osservatore che avanza verso il dipinto, ma è quest’ultimo che viene verso di lui. In questo modo egli è come attratto dentro il mistero rappresentato, esso lo spinge “sacramentalmente”, cioè simbolicamente, a lasciarsi avvolgere dalla dinamica messa in atto dal dipinto. L’immagine diventa un annunzio kerigmatico, una buona notizia che si attualizza e si realizza nel momento in cui la si contempla, in modo analogo a quanto fanno i sacramenti che rendono presente l’atto salvifico di Cristo, proponendolo come salvezza nell’oggi e nell’adesso.
Fondamentale è dunque per noi, davanti al dipinto, la contemplazione orante, ovvero quel lasciarci condurre dentro il mistero rappresentato: nel Cristo che con la sua morte e resurrezione ha vinto la morte e ora sale al cielo, viene aperta a tutti noi la possibilità di una vita nuova.
I discepoli sono riuniti attorno alla Vergine Maria, figura della Chiesa e della perfetta credente. Essa con amore indica Pietro, che si trova alla sua destra, il segno visibile dell’unità della Chiesa; alla sua sinistra c’è invece Paolo: i due apostoli rappresentano due aspetti coessenziali alla missione della Chiesa, il carisma e l’istituzione. Come nell’Antico Testamento Gerusalemme era stata ricostruita da Zorobabele e Giosuè, un laico e un sacerdote, ora Pietro e Paolo mostrano sia l’aspetto gerarchico e carismatico, sia l’elemento attivo e contemplativo che innerva la vita della Chiesa. Questo duplice aspetto è rappresentato anche dai due gruppi di apostoli che si trovano ai lati della Vergine: estatico, in pura contemplazione, l’uno; dinamico invece, come messo in movimento dallo zelo, l’altro. Gli apostoli guardano al cielo ormai aperto per tutti: desiderio e nostalgia di Dio pervadono tutti i personaggi e alla fine anche colui che contempla sente nascere dentro di sé questo desiderio del cielo, di Dio. Egli desidera stare con Lui insieme a tutti i fratelli: perché il morire è meglio che vivere (cfr. Fil 1,21). In questa attesa il credente evangelizza, fino al giorno in cui il Signore, come è salito al cielo, dal cielo discenderà e ritornerà. E la Chiesa in questa attesa non smette di supplicare: Maranà tha, vieni Signore Gesù (Ap, 22,20).